S.S. CHIEDE: Mi rivogo a voi con malcelata insofferenza. Nel corso degli anni abbiamo riprogrammato le nostre attività e progettualità basandoci sul paradigma di qualità della vita. Abbiamo seguito corsi e convegni animati da alcuni dei vostri illustri collaboratori. Abbiamo studiato e lavorato. Abbiamo investito tempo e denaro. Ci siamo costruiti modelli di lavoro nuovi e ci siamo affidati ad alcuni sistemi fondamentali come le “matrici ecologiche”. Posso dire che molte realtà cooperative con cui collaboro, hanno fatto passi da giganti verso la qualità della vita delle persone con disabilità, arrivando a costruire progetti di vita raffinati e puntuali, capaci di intercettare le aspettative delle persone. Ma al di fuori del centro diurno nulla è cambiato! I servizi di supporto (trasporto sociale, mensa, etc) sono sempre più rigidi, i servizi sociali sono sempre più lontani e caratterizzati da un importante turn over degli operatori, i servizi per l’inclusione lavorativa
latitano. Ha senso continuare, da soli, in questa direzione? Perdonate lo sfogo e grazie anticipate per la risposta.
 

MARCO ZANISI RISPONDE:   Gentile collega. Capisco e condivido la sua frustrazione. Mi piacerebbe relegare la sua insofferenza ad un fenomeno territoriale, legato a qualche sfortunata congiunzione. Purtroppo non è così. Inizio dalla sua ultima, volutamente provocatoria, domanda. Ha senso continuare in questa direzione! Ma non da soli. Perché non si è da soli. Talvolta i servizi pubblici sono carenti, appaiono distanti o distratti (non dimentichiamoci il periodo particolarmente infausto che stiamo, universalmente, attraversando). Abbiamo le alleanze costruite con le famiglie (ha citato “Matrici”, frutto e figlio del lavoro di Anffas, associazione di famiglie), abbiamo le collaborazioni con i territori, con le associazioni, con le parrocchie, con le Caritas, con le Pro Loco, con gli Alpini, gli Scout… (di certo dimenticherò decine di realtà regionali e locali). Abbiamo delle leggi, dalla costituzione alla 180/78, alla 104/92, alla 328/00, alla 6/04, alla 18/09, alla 112/16, alla 227/21 (e molte ne dimentico), che indicano la strada maestra del diritto soggettivo al progetto di vita personalizzato, centrato sugli obiettivi di qualità della vita autodeterminati. Che affidano al terzo settore una funzione pubblica nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione. Leggi perfettibili, ma che vanno conosciute ed usate, come un megafono, per dare voce alle persone più fragili e inascoltate. Così come inascoltati sono i loro bisogni esistenziali. Molti di questi bisogni sono diritti sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (la citata legge n.18 del 2009) e in quanto tali sono esigibili e possono essere rappresentati grazie ad una delle molteplici realtà locali afferenti alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap https://www.fishonlus.it).
Non siamo soli e non siamo disarmati ma, condivido con lei, al di fuori delle realtà e delle strutture organizzate, siamo inascoltati e privati di quel lavoro “di rete” tanto esaltato negli ultimi decenni. Molto spesso l’interfaccia con i servizi sociali locali si sofferma ad un livello amministrativo o burocratico. Si valuta il possesso dei requisiti per l’accesso a questa o quella misura, senza condividere quale e quanto sarà il reale impatto sulla qualità della vita della persona. Si prende in carico il percorso verso l’inclusione lavorativa di una persona con disabilità limitandosi, troppo spesso, ad un match tra domanda e offerta privo di profondità, riflessione, accompagnamento e supporto. Quasi non interessi o si manchi di convinzione.
E’ un momento critico. Forse il più critico degli ultimi decenni. In attesa che il PNRR si trasformi in supporti reali alla qualità della vita delle persone con disabilità, così devastata dal biennio pandemico. Un momento segnato dall’esodo degli educatori professionali verso il mondo dell’insegnamento, comprensibile sono in termini monetari immediati. Segnato dalle preoccupazioni per l’aumento delle spese e dei costi delle vita dei servizi… In questo momento pesantissimo, intravedo alcune piccole leve di cambiamento possibile:

  • La professionalità degli operatori e la tenacia, loro e delle organizzazioni che contribuiscono a sviluppare; Le relazioni con le famiglie
  • Un impianto legislativo avanzato e sostenuto da una rete di rappresentanza e tutela dei diritti
  • Reti locali con realtà associative e sociali che permettono di sperimentare la vera inclusione
  • L’attenzione, da trasformare in collaborazione con le rappresentanze di categorie. Possiamo contare sulla rete locale di ConfCommercio, ConfIndustria, ConfArtigianato, ConfAgricoltura (e molti altri) per attività di diverso tipo, dalla raccolta fondi allo sviluppo di laboratori fino all’attivazione di tirocini socializzanti e lavorativi
  • La possibilità di interagire con i livelli politici locali. Consiglieri Comunali, Assessori, Sindaci, Assessori Regionali… hanno nei loro compiti l’ascolto attivo dei cittadini e delle organizzazioni.
  • La possibilità di partecipare attivante alla vita politica della città… partecipare, candidarsi, rappresentare

Nel ringraziarla per la ricchezza dello spunto e scusandomi per la lunghezza della risposta, mi permetto di esortare tutti alla partecipazione della vita pubblica, se intendiamo partecipare al suo cambiamento. Mi auguro di aver stimolato, come un Forum deve fare, altre risposte. Soprattutto quelle dei servizi che il nostro interlocutore ha chiamato in causa.