M.P. CHIEDE: Buon giorno. Sono responsabile di un servizio educativo diurno per persone con disabilità (CSE) della provincia di Pavia. Ho letto alcuni numeri della vostra rivista e li ho trovati utili e stimolanti. Di qualità della vita si parla ormai diffusamente. Fatico però a capire se e come questo paradigma si possa utilizzare nella progettazione dei Servizi.   

MARCO ZANISI RISPONDE:  Gentile collega. La tua riflessione è molto stimolante. Effettivamente abbiamo quasi sempre trattato di Qualità della vita in termini di condizione e programmazione esistenziale della singola persona. Ne abbiamo parlato come condizione esistenziale da valutare (valutazione multidimensionale), potenziare (attraverso i sostegni opportuni) e sostenere nei differenti cicli di vita attraverso il progetto di vita. E’ impossibile generalizzare all’interno servizio lo sguardo che si ha sulla qualità della vita del singolo, se non si è disposti a rivedere compiutamente l’organizzazione della struttura. Negli ultimi 15-20 anni abbiamo imparato come valutare la qualità della vita delle persone che frequentano un servizio, che abitano in una comunità, che occupano una postazione lavorativa. Sappiamo valutare l’impatto che i differenti contesti hanno sulla qualità della vita delle persone. Forse è il caso che ci si apra al cambiamento conseguente: lasciare che i contesti si aprano all’impatto che la qualità della vita delle persone che li frequentano osano avere su di loro.
Dobbiamo però lasciare spazi e protagonismo alle persone con disabilità. Questo è impossibile se non siamo disposti a rivedere le nostre pratiche operative ed organizzative. Il punto di partenza è, ovviamente, l’incontro autentico con le persone. L’indagine sugli elementi che compongono la loro qualità della vita, favorendo l’emersione autodeterminata dei desideri e delle aspettative. Questo ci conduce alla possibilità (opportunità? Conseguenza coerente?) di passare da una scelta “a menù” delle attività, dei luoghi delle proposte (“chi vuole fare questo?” , “chi vuole andare in quel posto?”) ad una organizzazione basata sull’aggregazione delle scelte personali e/o su percorsi esclusivi e personalizzati. Questo è un primo passo:
arretrare dalle abitudini consolidate (senza perdere di vista la sostenibilità del sistema, ovviamente), per lasciare spazio alle scelte delle persone che vivono il servizio, abitano le case, sono cittadini di quel luogo. Sarà molto più complicato lasciare che la qualità della vita dei singoli contagi e dia qualità ai servizi se non intendiamo rinunciare alla piscina il martedì mattina, il kung fu il giovedì pomeriggio ed ai “lavoretti” per il Santo Natale e per la festa della mamma…

Il Prof. Leoni, membro del nostro comitato Scientifico ha pubblicato, alcuni anni fa, un importante contributo relativo alla riprogrammazione di una coraggiosa Cooperativa di servizi: “Usare i modelli di Qualità della vita e dei bisogni di sostegno per la progettazione di servizi alle disabilità” (Mauro Leoni - Spiritualità e qualità di vita, IV/2017). Importante e prezioso, a livello internazionale, il contributo del CQL- Council on Quality and Leadership di Towson, Maryland. https://www.c-q-l.org I colleghi statunitensi stanno conducendo un importante
percorso di supporto e certificazione dei cambiamenti dei sistemi di servizi e politiche, valutando l’impatto che la qualità della vita delle persone con disabilità ha sull’intera società e viceversa. Tra gli esiti del loro lavoro il manuale POM: PERSONAL OUTCOME MEASURES® Measuring Personal Quality of Life. Scaricabile gratuitamente (in lingua inglese https://www.c-q-l.org/resources/manuals/personal-outcome-measures- manual-for-adults) particolarmente utilizzato per intercettare obiettivi soggettivi relativi a: sicurezza e salute, comunità, relazioni, scelte, obiettivi.