Prefazione
di Roberto Speziale
“Liberi di scegliere, di partecipare, con il coraggio di cambiare il mondo… senza barriere, senza pregiudizi, senza discriminazioni… perché noi vogliamo dare il massimo per costruire un domani migliore!”
“Noi vogliamo che gli altri ci avvicinino e ci ascoltino perché anche noi possiamo avere delle buone idee”.
Queste sono solo due esempi delle tante affermazioni fatte dagli autorappresentanti protagonisti del progetto “Io, Cittadino - strumenti per la piena partecipazione, cittadinanza attiva e self-advocacy delle persone con disabilità intellettive”, due frasi che fanno ben capire quanto grande sia il desiderio di tutte le persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo di interfacciarsi, relazionarsi e confrontarsi con il resto della società a tutti i livelli, una società che invece tende, purtroppo da sempre, a non prenderle in considerazione, né loro, né, automaticamente, le loro idee, i loro pensieri, le loro necessità.
Ci sono innumerevoli leggi che difendono i diritti delle persone con disabilità nei molteplici ambiti della società di cui fanno parte e di cui chiedono a gran voce di essere protagonisti attivi, eppure, ancora oggi, sono invece circondate da pregiudizi, stereotipi, stigma.
Ma la loro voce, unitamente a quella dei loro familiari e delle associazioni di cui fanno parte, non cessa di ricordare a tutti che ci sono, che hanno il diritto di esserci ed al pari degli altri, e che possono autodeterminarsi e partecipare, insomma, che possono vivere in maniera piena la comunità che le circonda. Si tratta, in buona sostanza, di garantire alle persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo, a partire da quelle con alta necessità di sostegni, i giusti ed adeguati supporti. Supporti mai sostitutivi della persona stessa ma a sostegno dei loro processi decisionali, salvaguardandone sempre e nella massima misura possibile: desideri, aspettative e preferenze.
Una voce che non si è spenta neanche durante i mesi difficili del lockdown, in cui a tratti è sembrato che la loro vita e quella dei loro familiari fosse di meno valore o maggiormente sacrificabile rispetto a quelle degli altri. Una situazione, quella vissuta, ed ancora non del tutto superata, in cui le istituzioni e le amministrazioni preposte non hanno compreso, fino in fondo, il dramma che stavano vivendo le persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo e i loro familiari. Un dramma molto più profondo di quello vissuto da tutti gli altri cittadini. Restare, infatti, “rinchiusi h24” per mesi nelle loro abitazioni, privati delle loro routine, dei loro servizi, delle loro relazioni ha comportato situazioni estreme e spesso difficilmente gestibili, non di rado sfociate in comportamenti di auto ed etero aggressività ed, in generale, in fenomeni di rapida regressione dei risultati raggiunti in anni ed anni di quotidiano duro ed impegnativo lavoro sia da parte dei familiari che da parte dei loro operatori. Nonostante i ripetuti appelli e le disperate richieste di aiuto, tranne rari casi, chi doveva dare delle risposte non sembra essersene curato. Le conseguenze di ciò sono gravi e significativi i danni apportati alle stesse persone con disabilità e loro interi nuclei familiari. Le conseguenze non sono ancora tutte note ed evidenti ma le ferite subite potrebbero essere molto più profonde di quanto si possa solo minimamente immaginare.
Come è stato possibile arrivare a questo punto? Come è stato possibile calpestare così tutto ciò che è racchiuso nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (che ricordiamo essere legge in Italia da ormai più di 10 anni)?
Parliamo di diritto all’istruzione, di diritto alla vita libera ed indipendente, di protezione in caso di catastrofi e di emergenze di varia natura, comprese quelle sanitarie. Insomma parliamo di diritti vitali ed essenziali che, mai come in questa situazione sono stati negati. Si è assistito, infatti, ad un totale fallimento di un sistema basato sulla “cultura della protezione e della segregazione in grandi istituti delle persone” (che di fatto non è riuscita non solo a proteggere nessuno ma ha finito proprio con l’esporre maggiormente proprio le persone più fragili a maggiori rischi). Ed è questa una delle cause principali che ha fatto contare a migliaia i morti tra gli anziani ricoverati in Rsa e persone con disabilità. Modello quindi che ha dimostrato tutti i suoi limiti e che deve essere assolutamente superato a partire da un modello basato sui diritti umani, civili e sociali delle persone, con interventi personalizzati, attraverso un progetto individuale ed un budget di progetto di vita, superando strutture e servizi segreganti ed istituzionalizzanti che garantiscano ad ognuno di poter scegliere dove, come e con chi vivere senza mai essere adattate ad una specifica sistemazione contro la propria volontà. In buona sostanza occorre impedire che siano le persone ad essere adattate a dei servizi “standard e precostituiti” ma adattare i sevizi alle persone, garantendo loro libera scelta e qualità di vita.
Filèmone e Bàuci: relazioni (dettaglio). Opera di Andrea Jori (Mantova, www.andreajori.it) colori a pennarello su cartoncino, cm 100x70, 2020.
In tale contesto vanno definiti i livelli essenziali degli interventi e prestazioni sociali (Liveas) e vanno aggiornati, contestualmente, i livelli essenziali di assistenza (Lea), e occorre, altresì potenziare la Legge 112/2016 sul “Durante e dopo di noi” anche in chiave di percorsi di deistituzionalizzazione e contrasto ad ogni forma di segregazione. Come occorre completare la riforma delle norme sul diritto all’inclusione scolastica; dare attuazione alle norme sull’inclusione lavorativa (la persona giusta al posto giusto); emanare una idonea legge che riconosca il ruolo del Caregiver familiare e ne garantisca supporti, indennità economiche e coperture assicurative e previdenziali. Questo necessita anche di un nuovo modello organizzativo delle competenze, tra i diversi livelli dello Stato, attraverso una ricentralizzazione di tali competenze. In tale nuovo assetto un particolare ruolo, anche in chiave di sussidiarietà orizzontale può e deve essere garantita agli Enti di terzo settore che, anche alla luce della riforma, sono chiamati a concorrere al perseguimento di attività di interesse generale, valorizzando ed opportunamente utilizzando gli innovativi strumenti della co-programmazione e della coprogettazione, come definiti dalla citata riforma.
Ma non saranno mai le norme e riforme che, da sole, riusciranno a cambiare in meglio la vita delle persone. Infatti occorre, prima di tutto, che si metta in atto un radicale “cambiamento culturale” che riconosca che la diversità è una componente della condizione umana e, come tale, rappresenta una ricchezza e non un problema. Tutte le persone a prescindere dal loro funzionamento, dalla loro condizione, dalle loro caratteristiche personali o dal colore della loro pelle, hanno pari diritti e devono essere messe in grado di avere pari opportunità garantendo loro i necessari sostegni. Quindi le persone con disabilità devono essere, prima di tutto, considerate persone, devono essere messe in condizione di poter partecipare attivamente alla vita delle loro comunità e non devono mai essere emarginate, segregate o discriminate.
Ben venga quindi una pubblicazione, come la presente, che si focalizza su due aspetti fondamentali per la vita delle persone, anche e soprattutto per quella delle persone con disabilità intellettive e con disturbi del neurosviluppo, ossia la scuola e le relazioni, perché è da qui che si deve partire per costruire un mondo ed un futuro migliore. Un futuro di pari opportunità, di relazioni, appunto, sane e rispettose di quello che è “l’altro”, chiunque sia questo “altro” e qualunque siano le sue capacità e abilità.
#iostonellerelazioni, Relazioni sostenibili nelle scuola dei giovani. A crura di Ida Foroni, Chiara Mortari
E in relazione a questo, non smetteremo mai di ripetere che è fondamentale ed indispensabile che a modificarsi, in chiave inclusiva, devono essere i contesti in cui le persone con disabilità vivono. La disabilità, infatti, altro non è se non il risultato dell'interazione tra persone con disabilità e le barriere attitudinali, ambientali e culturali, che ne impediscono la piena ed efficacie partecipazione inclusiva nella società, su base di parità con gli altri.
Cambiare l’ambiente, cambiare la società, cambiare il mondo, cambiare la cultura, in chiave inclusiva, in coerenza con quanto sancito dall’Onu con il documento sugli obiettivi di sviluppo sostenibile del pianeta, non è per nulla facile né scontato. Tanto più in un tempo dove le spinte sociali e politiche, sono di segno contrario. Ma, proprio per questo, tutti noi che da genitori, familiari, operatori, amici di persone con disabilità o persone con disabilità noi stessi, non abbiamo un solo minuto da perdere e da subito dobbiamo mobilitare, anche alla luce della terribile esperienza vissuta, che non è detto sia finita, l’intero movimento delle persone con disabilità sapendo che fino a quando uno solo dei diritti fondamentali continuerà ad essere calpestato, negato o non riconosciuto ad essere in pericolo saranno i diritti di tutte le persone. Quindi progettiamo insieme, andiamo avanti insieme. Ma insieme vuol dire insieme a tutti, anche alle persone con disabilità intellettive e con disturbi del neurosviluppo perché la loro voce conta, perché nessuno meglio di loro può farlo, perché è dalla loro voce e grazie al supporto che ognuno di noi può garantire loro, che deve nascere il cambiamento di cui questa società, ha bisogno e non solo per le persone con disabilità ma per essere più equa e giusta per tutti. Una società, infatti, nella quale, vivono meglio le persone con maggiori fragilità è una società in cui vivono meglio tutti!
L’assemblea nazionale di Anffas ha recentemente titolato il proprio documento di sintesi “Prove di futuro” quale migliore auspicio, quindi, per tutti noi se non quello di poter contribuire a costruire un futuro migliore nel quale nessuno venga mai più lasciato solo o lasciato indietro?