In questo articolo mi sento in dovere di parlare dei genitori ed in particolare dei genitori con figli fragili, con maggiore attenzione dei genitori di persone con disabilità dalla nascita.
Noi tutti sappiamo che il “mestiere” di genitore è molto difficile, non c’è alcun maestro che possa insegnarlo, ogni persona che inizia a vivere il ruolo genitoriale deve scoprire da sé “come si fa”. In giro ci sono tanti buoni e cattivi maestri, ma solo ognuno di noi conosce veramente la propria realtà e di conseguenza deve scoprire da solo la propria genitorialità.
Ovviamente ci sono molte persone che possono aiutare: i propri genitori, dai quali non si accettano sempre volentieri consigli per una sorta di rivalità sotterranea o per una conflittualità manifesta dovuta alle ruggini dei rapporti con loro nella fase della crescita. Ci sono anche tanti amici che la genitorialità l’hanno sperimentata prima e possono dare consigli e poi ci sono gli esperti che certamente, grazie ai loro studi, hanno delle competenze che possono trasferirci al fine di migliorare le nostre capacità di essere genitori. Ma la componente fondamentale dei rapporti genitori figli è la parte emotiva, emozionale, il campo degli affetti ed in questo siamo solo noi con i nostri figli che possiamo dare risposte. L’amore che proviamo per loro travalica le montagne più inaccessibili e attraversa i mari più profondi. Per noi genitori di figli con disabilità congenita i problemi si decuplicano. Il primo riguarda l’accettazione. Le nuove generazioni, in merito a disabilità di tipo genetico, sono facilitati con le diagnosi precoci, perchè possono conoscere la disabilità prima della nascita ed iniziare un percorso di accettazione che li predispone ad accogliere al meglio il nascituro.
Purtroppo non sempre è così e in molti casi la nascita di un figlio anziché essere motivo di gioia è un autentico trauma che accompagnerà i genitori per tutta la vita. In altre situazioni la disabilità emerge nella fase di crescita ed il trauma potrebbe essere ancora più pesante perché, come tutti i genitori, si stava già progettando il meglio per il futuro del proprio figlio. In primo luogo il genitore con figlio con disabilità si deve confrontare con una realtà che non è esattamente quella che si era sognata e/o immaginata nel mettere in cantiere l’idea di avere un figlio. La realtà ti costringe a confrontarti con i tuoi sensi di colpa, con gli sguardi più o meno compassionevoli di parenti, amici e conoscenti. In più la società ti dice che devi farti forza e devi accettare la situazione, indorando la pillola. Nel frangente iniziano le peregrinazioni: pediatra, fisioterapista, logopedista, assistente sociale; in buona sostanza bisogna immaginare un percorso di riabilitazione domiciliare per stimolare il potenziamento delle qualità intrinseche del proprio figlio, in modo da metterle a frutto per la sua crescita. Ricordo che il programma di riabilitazione prescritto per nostro figlio prevedeva esercizi che avevano una durata complessiva di 8 ore al giorno, di conseguenza bisogna inventarsi fisioterapista ed anche logopedista; inoltre, siccome bisogna mangiare, almeno uno dei due doveva lavorare.
A questo punto arrivi alla conclusione: “non ce la posso fare”! Ma dopo il primo momento di scoramento ti rimbocchi le mani e cerchi delle soluzioni. Ecco, è proprio su questo punto che volevo soffermare la mia e la vostra attenzione, anche per creare una provocazione rispetto al ruolo genitoriale nel mondo della disabilità. Noi genitori ci dobbiamo sempre attivare per trovare la soluzione. Di conseguenza quando è il momento dell’inserimento scolastico diventiamo pedagogisti che si devono confrontare con maestri ed insegnanti; dialogare con dirigenti scolastici; capire se l’insegnate di sostegno è adeguato oppure è lì perché non ha trovato altro posto di lavoro; capire se l’assistente educatore è preparato per seguire il proprio figlio; verificare se viene tenuto nel contesto classe, garantendo la sua inclusione, oppure viene frequentemente portato in un altro ambiente . Ah, dimenticavo! Ancora più difficile è la questione del mondo del lavoro. L’aspettativa che il proprio figlio venga inserito in un contesto lavorativo viene quasi regolarmente disillusa da un contesto sociale, economico, imprenditoriale che ritiene le persone con disabilità non idonee al mondo del lavoro ed un costo pe la società, per l’impresa. Noi genitori sappiamo che tutto ciò non è vero! Sappiamo che i nostri figli sono una risorsa e quindi ci battiamo affinché i nostri figli abbiamo accesso al mondo e possano godere di un diritto sancito dalla Costituzione Italiana. Altra impresa titanica è l’eventuale inserimento in un servizio, che comprende prima di tutto la ricerca del luogo adatto e in seguito pensare ai colloqui, al trasporto, alla mensa, tutte cose a cui dobbiamo dedicare molto tempo.
Non è finita qui!
Abbiamo naturalmente la necessità di rapportarci con altri genitori con le stesse problematiche, quindi cercare un’associazione e dare la nostra disponibilità a sostenere le attività della stessa. Magari arriva anche il momento nel quale ci viene domandato di dare la nostra disponibilità ad entrare negli organi gestionali della stessa. A questo punto diventiamo anche manager. Come avrete capito sto cercando di evidenziare quanti ruoli ci viene richiesto di assumere (fisioterapista, logopedista, pedagogista, manager ecc.), cosa che non avviene nelle altre famiglie. Tutto questo per rimarcare che noi genitori di persone con disabilità dobbiamo saperci adattare a tutto, rinunciando a vivere una vita ordinaria. La nostra vita non può mai avere degli attimi di respiro perché è sempre e costantemente dedicata ai nostri figli, anche quando nella normalità della vita adulta i nostri figli dovrebbero aver spiccato il volo ed intrapreso un loro percorso di vita.
A noi non è concessa una sosta, dobbiamo stare sempre sul pezzo, fino a dover diventare genitori preveggenti e pianificare il "dopo di noi".
Presidete Domenico Tripodi - Anffas Bergamo