tratto da Costruire l’indipendenza - Strumenti di facilitazione visiva nelle Residenze per disabili
Giovanni si sveglia la mattina in comunità e non sa mai quali sono i vestiti che deve indossare per recarsi al Centro Diurno Disabili ed è costretto quindi ad aspettare che il personale educativo gli prepari i vestiti, ma l’attesa a volte diventa insopportabile ... il tempo non passa ... e alla fine compare il comportamento problematico”.
“Lucia ogni giorno aspetta che qualcuno le dica che è arrivato il momento di fare la doccia, allora va in camera si spoglia e lascia tutto per terra, sia i vestiti che possono ancora essere utilizzati sia la biancheria intima che deve cambiare. È necessario che il personale educativo ogni giorno, magari anche un po’ infastidito, le dica “Ma insomma i vestiti e la biancheria intima non vanno lasciati in mezzo alla stanza!”, e Lucia si domanda “E dove vanno?”. Poi entra in bagno e si mette sotto la doccia e aspetta che qualcuno venga a lavarla ma non si accorge che le manca lo shampoo, il bagnoschiuma, la spugna. Ancora una volta ci deve essere qualcuno che fa per lei”.
“Michele in comunità ha sempre bisogno che qualcuno gli dica: “Adesso è ora di fare questo, adesso è ora di fare quest’altro”.
Ma da un giorno con l’altro non comprende come fluisce la sua giornata, come si susseguono le attività, quanto durano e tutto risulta sempre imprevedibile e quindi l’unica soluzione è aspettare sempre l’operatore che dirà cosa fare”.
“Marco, quando si avvicina l’orario della cena, comincia a sentire appetito e va avanti e indietro dalla cucina, ma fino a che l’operatore non gli dice che prima di mangiare bisogna preparare il tavolo non si accorge di questa necessità. Poi c’è la buona volontà di preparare il tavolo ma non sa dove trovare i piatti e poi i bicchieri, e poi ancora mentre prepara il tavolo in alcuni posti mette il piatto ma non il bicchiere e in altri i bicchieri e non il piatto e così via. Risultato: il personale educativo deve essere sempre al suo fianco in tutte queste operazioni”.
“Simona è capace di fare la doccia, dicono gli operatori, però si dimentica spesso di lavare alcune parti del corpo o di sciacquarne altre e di conseguenza è sempre necessario che qualcuno rimanga con lei e l’aiuti”.
Questi sono solo alcuni semplici e banali eventi della vita quotidiana di un servizio residenziale, e ce ne potrebbero essere molti altri, in cui ciò che emerge in modo macroevidente è il tema dell’indipendenza possibile. Spesso accade che persone con disabilità intellettiva e relazionale ormai divenute adulte richiedano sempre la presenza di qualcuno per “svolgere gli atti fondamentali della vita di tutti i giorni” (MICHELI e ZACCHINI, 2001, p. 12). Pensando a queste persone è probabilmente molto facile recuperare alla mente una immagine che riassuma il concetto di dipendenza: una persona che si veste solo se c’è qualcuno che la veste, o che fa un gioco solo se qualcuno glielo fornisce e sta con lei o che passa da una attività a un’altra solo se qualcuno glielo dice. Se qualcuno non interviene rimane ferma nel posto in cui è, oppure si mette a girovagare senza meta, o peggio ancora manifesta comportamenti disfunzionali.
Questi aspetti confliggono in modo esplicito e palese con le idee di integrazione delle persone con DI nella società. La domanda che nasce spontanea, allora, è se sia possibile costruire in modo reale, concreto e visibile le abilità per svolgere compiti, che riguardano direttamente la propria persona, in modo indipendente per soggetti che sperimentano una condizione di DI anche grave.
La progettazione della quotidianità di vita in un ecosistema residenziale per persone con disabilità intellettiva e relazionale, può essere sviluppabile proprio prendendo le mosse da questo interrogativo.
Lo stesso interrogativo rimanda però alla necessità non solo di esplicitare il concetto di indipendenza in termini teorici, ma anche di tradurlo in azioni educative legate alla concretezza del vivere giornaliero.
“La questione dell’indipendenza è quindi una sfida cruciale per il mondo dell’handicap mentale e contemporaneamente una sfida affrontabile, nella quale molti risultati possono essere raggiunti” (MICHELI e ZACCHINI, 2001, p. 14).
Alcuni elementi cardine per affrontare seriamente la “questione dell’indipendenza” sono i seguenti:
- Compiere una valutazione il più possibile attenta e realistica delle abilità della persona, al fine di evitare proposte superiori al livello di capacità esprimibile dalla persona con il risultato ovvio di sedimentare o aggravare lo stato di dipendenza, soprattutto se ci si confronta con persone adulte.
- Contemporaneamente porre attenzione nella valutazione del “potenziale emergente” o livello prossimale di sviluppo, cioè cogliere in quali aree di interventi e per quali abilità è credibile ipotizzare un aumento dell’autonomia favorendo in questo modo un incremento realizzabile dell’indipendenza.
- Organizzazione dell’ambiente per l’indipendenza. È importante pensare a una organizzazione dell’ambiente fisico che permetta agli individui con disabilità di utilizzarlo nel modo più indipendente e sicuro possibile. Ma è importante anche compiere un cambiamento di atteggiamento mentale del personale educativo e dei familiari nel modo di guardare al vivere di queste persone.
- Diventa perciò fondamentale costruire, in chi supporta persone con disabilità intellettiva, “un ambiente mentale che abbia sempre chiara l’immagine del bambino o ragazzo handicappato non per mano, ma dritto, da solo a camminare” (MICHELI e ZACCHINI, 2001, p. 15). Proporre un ambiente calmo, tranquillo e con il giusto tempo per agire.
Questo elemento è significativo tanto per la persona con disabilità intellettive quanto per l’operatore. Per la persona disabile è importante in quanto le azioni svolte in autonomia spesso richiedono tempi maggiori rispetto alle persone a sviluppo tipico e richiedono un ambiente che sia equilibrato dal punto di vista degli stimoli presenti per favorire la concentrazione rispetto alla prestazione richiesta.
È quindi importante dosare le richieste di performance e valutare la situazione ambientale in cui la persona con disabilità intellettive si trova ad agire.
Per il personale educativo è invece importante in quanto spesso ci si trova a lavorare con la logica del “pronto soccorso” e ci si riduce a essere schiavi delle contingenze, rischiando così di perdere il giusto equilibrio e distacco professionale dalle situazioni.
Questo determina la comparsa, nel personale educativo, di comportamenti volti ad anticipare aiuti per “fare prima”, di una caduta in stili educativi ansiosi, nervosi che portano a irrigidire i rapporti e possono favorire la comparsa di comportamenti disfunzionali nelle persone da supportare per il fallimento della necessaria precisione e chiarezza comunicativa.
- Mantenere alto il livello di attenzione nel personale educativo verso l’utilizzo inconsapevole di stili educativi che mantengono comportamenti dipendenti e aumentare la consapevolezza verso la promozione naturale, il riconoscimento e il rinforzamento di comportamenti indipendenti.
- Associare i comportamenti appresi a segnali rilevanti all’interno dell’ambiente in cui i comportamenti attesi devono manifestarsi. Un primo tentativo, supportato da basi scientifiche, di traduzione essenziale e concreta nella vita quotidiana del concetto di indipendenza è stato proposto dalla Divisione TEACCH (Schopler e colleghi) già a partire dalle fine degli anni Sessanta con l’introduzione della “tecnica del lavoro indipendente”. Naturalmente, come ormai tutti sanno, le strategie e tecniche sviluppate all’interno del lavoro di ricerca della Divisione TEACCH non sono il “Programma TEACCH” che si configura come un approccio che “attraverso la presa in carico globale tende alla massima integrazione concreta del disabile in famiglia e in ogni ambiente quotidiano come la scuola, il centro di addestramento, l’ambiente di lavoro” (HANAU, 1991).
Attraverso la tecnica del lavoro indipendente ci si propone di strutturare proposte organizzate secondo un coefficiente di difficoltà calibrato sulle competenze acquisite o potenzialmente acquisibili dalla persona, di organizzare il materiale per la prestazione in modo tale da garantire alla persona con disabilità intellettiva e relazionale il grado maggiore possibile di indipendenza nella comprensione del compito, del modo di svolgerlo, della sua durata e della sua fine.
Come è stato ampiamente evidenziato, anche in Italia, in primo luogo da Micheli e Zacchini, l’utilizzo attento, corretto e sistematico di questa tecnica permette lo sviluppo di abilità di indipendenza a persone con diversi tipi di difficoltà dello sviluppo e non solo a persone autistiche.
Il nucleo centrale delle tecniche basate sul lavoro indipendente si fonda su uno sfruttamento di tipo visuo-spaziale dell’organizzazione dello spazio, dei compiti e dei materiali.
Ne consegue lo sbilanciamento dell’attenzione, nel programmare le proposte, verso le componenti visive, che possono aiutare le persone a comprendere lo sviluppo delle sequenze del compito nel tempo, fornendo uno schema di lavoro adatto al particolare funzionamento del singolo individuo. Il lavoro promosso dalla Divisione TEACCH e le sperimentazioni e applicazioni che sono state condotte, anche in Italia, sul lavoro indipendente, mettono in rilievo tre principi metodologici per il raggiungimento di esiti efficaci: individualizzazione, flessibilità e indipendenza.
Individualizzazione Il percorso educativo che si intende promuovere per la persona deve essere caratterizzato da una attenta valutazione, con strumenti formali e informali, al fine di individuare i reali punti di forza dell’individuo come base per la programmazione dell’intervento. A questo punto le facilitazioni che verranno introdotte non risulteranno essere l’espressione di una applicazione
rigida di un metodo, ma esprimeranno “l’arte” dell’educatore nel tradurre gli esiti della valutazione in accorgimenti calibrati “ad hoc” per il singolo individuo.
Flessibilità La tensione principale del lavoro educativo è il miglioramento della qualità della vita. E il Piano Educativo Individualizzato è lo strumento nel quale è definito il percorso volto al miglioramento della qualità della vita. Le strategie, le tecniche, gli strumenti e i materiali che rendono concreto questo percorso devono caratterizzarsi per essere pensati e programmati per rispondere ai bisogni emergenti della singola persona e di conseguenza non possono che essere utilizzati con flessibilità e plasticità. Questo significa che possono essere modificati, riveduti, corretti in relazione alle necessità e abilità che la persona con DI manifesta, all’esperienza che la persona matura, a nuovi stimoli provenienti dalla letteratura (che hanno il compito di rendere ancora più efficace il lavoro educativo), e infine alla creatività che possono apportare familiari e operatori che quotidianamente si confrontano con il peculiare “modo di funzionare” di una specifica persona con DI.
Indipendenza L’azione educativa deve tendere a trovare, nel divenire delle situazioni, il più adeguato punto di equilibrio fra le abilità della persona con disabilità intellettiva e relazionale e le capacità che l’ambiente può produrre per essere adatto e quindi padroneggiabile dalla persona stessa. “Iperattività, distraibilità, difficoltà nell’organizzazione e memoria delle sequenze di azioni, sono comuni difficoltà sperimentate dalle persone con i più generici handicap mentali, o con svariate sindromi genetiche e neurologiche” (MICHELI e ZACCHINI, 2001, p. 21). A queste va aggiunto un altro elemento molto comune alle persone con disabilità intellettiva e relazionale che sono le problematiche a carico della comunicazione, che incidono in modo evidente sullo sviluppo della persona, sulle sue capacità di apprendimento, di abilità di gestione della propria vita aumentandone in modo sensibile il grado di fragilità e vulnerabilità.
Ne consegue che il lavoro educativo centrato sull’indipendenza deve necessariamente prendere in considerazione strategie e tecniche di insegnamento che affrontino problemi quali il grado di comprensione del compito, la gradualità nell’esposizione alle novità o alle difficoltà, l’insegnamento di concetti in modo concreto, la schermatura dai potenziali stimoli distraenti, il progressivo sganciamento dalla dipendenza dal personale educativo.