Premessa (come in uno specchio)
spesso il mio lavoro, come coordinatrice dell’Uma (*), è caratterizzato da frustrazione per la mancata realizzazione di progetti o per la percezione di sprecare energie verso obiettivi non raggiungibili, a causa delle complessità burocratiche/amministrative e delle fragilità che presentano le persone che si incontrano nel servizio (cittadini e operatori). La sensazione è quella del criceto che gira a vuoto nella ruota messa a disposizione nella sua gabbietta, a tratti inconsapevolmente. Mi sono sentita come una inutile goccia in mezzo al mare.
E, invece, oggi mi ritrovo a dirmi che, effettivamente, mi sento ancora quella goccia, ma che in realtà è diventata una minuscola parte di cambiamento. Per spiegare come questa sensazione sia comparsa, racconterò una storia che parla di un luogo, di un’idea, ma soprattutto parla di persone. Persone che sono partite da presupposti differenti, con storie di vita e professionali diverse e hanno condiviso e creduto nell’idea.
Questa storia parte da lontano, dai locali “abbandonati” di via Cividale, dove, insieme al collega Luca davanti a un caffè, si pensava a come trovare un’occupazione utile (reale – non finta) a persone con una disabilità lieve o esclusivamente fisica. La questione è caduta lì, senza seguito, ma comunque rimasta in quei cassetti della mente che spesso non ci si ricorda nè di aver aperto nè, tanto meno, richiuso. È passato del tempo, credo diversi anni e nel frattempo, avendo cambiato sede, i due locali polverosi e abbondonati non erano più a disposizione, così come tramontato sembrava il nostro pensiero. Inaspettatamente una collega che si occupa dell’attività del tempo libero per le persone con disabilità del territorio (progetto Psb), ha “bussato alla mia porta” e mi ha proposto l’idea della PALESTRA DEL LAVORO. Cioè un luogo dove alcune persone potessero sperimentarsi in lavoro d’ufficio, a supporto dell’organizzazione delle attività di tempo libero (5 postazioni attrezzate di pc, telefono e connessioni). Si è presentata, quindi, l’opportunità di riaprire i cassetti che sembravo chiusi e permettere che parole casuali e intuizioni fortunate diventassero progetto e realizzazione.
Il primo anno è stato segnato da fatiche importanti, dalla ricerca di un assetto adeguato ad una situazione praticamente senza precedenti: un ufficio vero e proprio, nel cuore dell’azienda Speciale Consortile Ser.Co.P., al centro dei pensieri che il nostro territorio produce in termini di inclusione, vissuto da persone con disabilità… Dopo un avvio stentato e faticoso, servito per irrobustirci, per comprendere gli errori, per individuare cosa ha funzionato e cosa poteva essere migliorato, la seconda sperimentazione ci ha guidato in un processo diverso, nuovo, spaventosamente imprevedibile. Era percepibile la sensazione di camminare su un terreno fragile, ma a differenza della volta precedente, si è dato più tempo per la cura delle relazioni, per il pensiero. La trasformazione non è stata data solo dalle formali riunioni d’equipe, dai colloqui singoli, dalla compilazione di schede e relazioni con gli obiettivi raggiunti, ecc…Il tempo del cambiamento è stato dato anche da due chiacchere davanti alla macchinetta del caffè, da due passi lungo il corridoio o dagli incontri casuali nel nostro bagno “no gender”. Tali occasioni informali slegate dall’inziale (e obbligatorio) rapporto “operatore-utente”, hanno contribuito a smussare i ruoli professionali e valorizzato il rapporto umano, tra persone, dove la disabilità presente ha assunto lo stesso valore degli occhiali che porto o dai miei chili di troppo, come qualcosa che c’è e che fa parte della persona senza, per questo, diventare un limite alla relazione, una condizione da accettare semplicemente, come appartenente all’ordine naturale delle cose.
Questo contesto relazionale maturo, ha reso possibile proporre a Sercop di avviare un percorso di affiancamento finalizzato all’assunzione di due persone, come dipendenti dell’Azienda. Si è avviata, così, la trasformazione del rapporto da “operatore-utente” a “collega-collega”. È stato necessario avere la volontà di mettersi in gioco, di provare a non essere più il “coordinatore”, “l’assistente sociale”, “l’educatore”, “l’utente”, “l’amministrativa” ma tentare di essere, semplicemente, Simona, Andrea, Alessio, Stefania, Elda, …, (mi piacerebbe elencarli tutti, ma sono certa che, leggendo, loro si ritroveranno in questo racconto). L’esercizio dei ruoli professionali, spesso, è un alibi che garantisce certezza e confina il nostro spazio rassicurante di movimento. Concedersi l’allontanamento dal ruolo non vuol dire perderlo (e nemmeno perdere le responsabilità ad esso collegato), vuol dire darsi la possibilità di sperimentarsi in modi relazionali differenti, autentici e reali. È stato questo processo, questo atteggiamento che ha contributo a valorizzare la “qualità di vita” dei soggetti coinvolti, la stessa che viene descritta nei trattati o che ci viene illustrata nei convegni. I principi che hanno accompagnato il percorso sono legati a riferimenti teorici come inclusione, equità, multi-dimensionalità, autodeterminazione, “progetto di vita”, “qualità di vita” e “vita indipendente”. Questi concetti, percepiti come mete irraggiungibili e lontani, mi hanno sempre spaventata per il carico di responsabilità umana e portata emotiva che spesso evocano negli operatori che lavorano nel sociale, ma ho compreso che il passaggio, certamente impegnativo e emotivamente rischioso, non è poi così irrealizzabile.
Quindi, alla fine di questa sconclusionata premessa, non posso far altro che essere grata del fatto che mi sono trovata nel posto, nel momento giusto e con le persone giuste. Come goccia in mezzo al mare, oggi, sento, senza presunzione, il privilegio di aver partecipato e contribuito a questo cambiamento. Sebbene non si tratti di una rivoluzione nell’ambito dei servizi, alla fine, non posso che credere, insieme a quanti hanno agito questo cambiamento, che “se è possibile per uno, allora è possibile”. Per tutti.
LA DISABILITÀ DELLA PERSONA SI STEMPERA NELLA NORMALITÀ DELLA RELAZIONE
Unità Multidimensionale d’Ambito
Che di questo si tratta, alla fine. Di avere una borsa degli attrezzi enormemente capace. Di avere una squadra di persone capaci e appassionate. Di avere la forza e la determinazione per assumersi una responsabilità che travalica il nostro orizzonte spazio temporale. Di avere un mandato pubblico inossidabile. Di avere etica e dirittura morale. Di avere la forza e la voglia di confrontarsi sempre, con tutti. Perché stendere un PROGETTO DI VITA non è solo occuparsi di un orientamento verso questo o quel servizio, di organizzare attività per il tempo libero, di reperire fondi a favore di una certa persona, di occuparsi della soluzione residenziale più adeguata… è tutto questo insieme …e anche di più! E’ sentire ed accettare “la terribile responsabilità che si ha nel progettare la vita di altri” (Roberto Franchini), a noi estranei e sconosciuti. E’ sapere che gli altri si affideranno a noi… e che la loro vita potrà essere migliore o peggiore, in base alla nostra capacità e competenza.
Che di questo si tratta, alla fine. Una funzione pubblica. Con responsabilità vissuta come elemento soggettivo. Sulla propria pelle e nel proprio stomaco. Per questo esiste UMA.
![]() |
Nata da una lunga storia di confronto tra Amministrazioni Comunali, Piano di Zona, Consorzio di Cooperative, Servizi destinati alle persone con disabilità, Associazioni, Familiari… Prima ancora che SER.CO.P. fosse. Unità Multidimensionale d’Ambito pensata e voluta nel momento stesso in cui di multidimensionalità e di qualità della vita si iniziava a parlare, nei servizi, nelle università, negli istituti di ricerca… UMA nasce e cresce con questo scopo e questa vocazione: offrire uno spazio pubblico di eccellenza, dove i cittadini con disabilità del Rhodense possano trovare energie e competenze progettuali a loro disposizione. A prescindere dal comune di appartenenza, a prescindere dalle risorse che questo mette a disposizione. |
U come Unità. Come Unità Operativa, luogo in cui si fanno cose. Abitato da persone: Assistenti Sociali, Psicologi, Educatori, che progettano e che producono pensieri, documenti, valutazioni, progetti. Ma anche ufficio, (in via Cornaggia), uno dei molti uffici e attività che compongono Ser.Co.P. Anche snodo tra i servizi a cui le persone fragili possono rivolgersi, per differenti bisogni e necessità.
M come Multidimensionale. Come luogo in cui la persona è accolta e compresa nelle sue differenti dimensioni (clinica, funzionale ed esistenziale). In cui la persona non è solo il suo bisogno, ma anche le sue competenze e, soprattutto, i suoi desideri e le sue aspettative sul futuro.
A come Ambito. Come un modus operandi in cui, secondo lo stile a cui Ser.Co.P. ci ha abituato, ogni cittadino Rhodense, a prescindere dal comune di provenienza, riguarda tutti gli operatori (del pubblico o privato sociale) del Rhodense.
Se Unità e Ambito sono sostantivi comuni, che si ritrovano in iniziative di genesi e scopi differenti, è MULTIDIMENSIONALE che, in quanto aggettivo, definisce la qualità del servizio e la sua preziosa unicità.
La multidimensionalità, a tutti gli effetti, costituisce lo spazio (composto da diverse dimensioni, appunto) dell’incontro con la persona con disabilità e della sua comprensione profonda. Della conoscenza profonda che prescinde il “cos’ha?” (dimensione clinica), il “cosa sa fare?” (dimensione funzionale), per arrivare a “chi sei?”, “cosa possiamo fare, insieme?”, “dove vuoi che ti accompagni?” (magari usando il “LEI”, se di persona adulta si tratta). La multidimensionalità aggiunge, alla consueta conoscenza che gli “operatori” hanno dell’”utente” la varianza della temperatura che l’abbraccio o la stretta di mano garantiscono.
Calore, insomma. Ma calore competente.
Multidimensionalità che “…è un insieme di procedure mirate a conoscere le caratteristiche specifiche di come una persona funziona in rapporto al suo ambiente, di quali sono i suoi bisogni fondamentali, e in particolare gli obiettivi personali (anche in relazione ai suoi ecosistemi), di quali problematiche e bisogni è portatore dal punto di vista bio-psichico, al fine di modellare un piano di sostegni (progetto di vita e programma di intervento) in linea con le sue necessità. Si tratta di un processo che non si limita alla fase precedente il trattamento, ma prosegue nel corso di tutto il rapporto di presa in carico ed è soggetto a continue rivalutazioni.” (LINEE GUIDA per la definizione degli Standard di Qualità nella costruzione del Progetto di vita per le persone con disabilità intellettiva Assessment, interventi, outcomes. AIRiM, 2010).
UMA pone, al centro di ogni sua azione, la persona, con le sue caratteristiche, i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue potenzialità. Quegli elementi che diventano le fondamenta di ogni progetto di vita che, se realmente orientato all’autodeterminazione della persona, permette a lei di “Agire in qualità di agente causale primario della propria vita, il fare scelte e il prendere decisioni in merito alla propria qualità di vita liberi da influenze o interferenze improprie” (M.L. Wehmeyer e R. Schalock 2001).
La nascita di UMA riconosce la necessità e certifica il desiderio di mettere a disposizione dei cittadini fragili un nuovo modello di servizio sociale e di relazioni con il Servizio Pubblico. Superare, in estrema sintesi, la delega all’operatore di funzioni compensative “Ho una disabilità, quindi tu…” verso una nuova forma di corresponsabilità “Ho delle difficoltà, delle competenze e dei desideri, quindi noi…”. Lo sguardo «multidimensionale» mette in crisi le certezze clinico-funzionali ed il «potere» connesso alla nostra posizione professionale, aprendo alla sorpresa dell’incontro con l’umanità dell’altro, del quale si sostanzia la nostra professionalità.
L’impulso verso una nuova stagione dei Servizi alla persona che UMA incarna, non ha ancora raggiunto i frutti sperati. L’UMA dovrà dotarsi (e si sta dotando) di strumenti e competenze sempre più puntuali e precise, dovrà rafforzare le sue competenze nell’entrare in profonda sintonia con la persona con disabilità, dovrà assumersi la responsabilità di progettare la vita di altri, con altri… completare il percorso che porta da “lavorare per…” a “progettare con…”
Dovrà anche assumersi la responsabilità di raccontarsi, di far sapere e comprendere che “se è possibile per uno, allora è possibile”. Di far sapere che la disabilità non è una malattia dalla quale si guarisce, ma è una condizione di svantaggio che incontra contesti sfavorevoli… contesti che si possono modificare e rendere favorevoli, inclusivi, diversi, nuovi… possono diventare lo spazio in cui le persone incontrano le persone e decidono, insieme, dove andare… che la disabilità, davvero, si può stemperare e ridurre.
PALESTRA DEL LAVORO per ATLETI DEL LAVORO
Alla fine, con Sercop, non si può mai stare tranquilli
Estate 2015. Non giugno o luglio, proprio estate, tipo tra il 10 e il 26 agosto… pc che fremono, mail che attraversano la calda atmosfera…
Va in scena una nuova rappresentazione progettuale. Attori, registi, sceneggiatori, attrezzisti, costumisti… tutti piò o meno in ferie, tutti più o meno connessi con pc, smartphone, tablet… tra spiagge infuocate e gelati da comperare ai figlioletti. Assistenti sociali, responsabili amministrativi, educatori, personale di Sercop, dei Comuni, delle Cooperative… tutti operativi, perché si può fare… sappiamo che si può parlare di disabilità e lavoro… e se non è lavoro-lavoro ci va molto vicino… una palestra, in cui ci si allena, ci si prepara, per essere pronti ad affrontare il lavoro e le sua sfide…
PALESTRA DEL LAVORO, ORIGINAL RECIPE
La palestra del lavoro è, ad oggi una esperienza unica, nata da una serie di opportunità e di bisogni che, come un puzzle, si sono perfettamente incastrati tra loro. Determinazione, lungimiranza. Passione, capacità di ricercare risorse… ma anche una certa dose di culo…
INGREDIENTI:
Una possibilità: data dalle risorse messe a disposizione dai fondi di PRO.VI. (“Bando nazionale sperimentazione del modello di intervento in materia di vita indipendente e inclusione nella società delle persone con disabilità”);
Un’intuizione: una collega che ha pensato di poter far lavorare le persone disabili nell’organizzazione di attività per il tempo libero dell’ambito (Party Senza Barriere-PSB*), supportando gli operatori titolari nelle mansioni legare alle comunicazione.
Una scelta politica: il C.d.A. e l’assemblea di Sercop hanno accolto e compreso la qualità del progetto e hanno deciso di investire in un percorso sperimentale e innovativo dagli esiti particolarmente incerti;
Un gruppo di persone: gli operatori dei servizi che si occupano di disabilità (Uma, Nil, PsB, Trasporto disabili, assistenti sociali comunali, Cooperativa Serena, …), i giovani con disabilità identificati da UMA e NIL e le loro famiglie
Una regia collegiale che ha curato l’allestimento, i rapporti fra i soggetti, ha facilitato le connessioni, ha mediato i conflitti e, come piace spesso affermare a me, è stata in grado semplicemente di “unire i puntini”;
Un tempo per pensare, progettare, mettere insieme che, spesso, è considerato un lusso. Quel tempo necessario per creare qualità;
Un luogo: l’azienda consortile Sercop ha messo a disposizione una stanza attrezzata (scrivanie, sedie, pc, connessione, stampanti, telefoni, lavagne…e macchina del caffè)
Con questi ingredienti è stato possibile realizzare il progetto Palestra del Lavoro, tempo e spazio dove confrontarsi con le proprie competenze e superare i propri limiti, affrontando mansioni di carattere amministrativo e a supporto della comunicazione tra Party Senza Barriere e il territorio. Lo scopo principale è la formazione di competenze specificatamente orientate all’inclusione socio lavorativa attraverso l’apprendimento di strumenti informatici (tutto il pacchetto Office), di comunicazione (Mail e telefono) e di social networking (Facebook, Twitter, Instagram…)
Giunta ormai alla terza edizione, la Palestra del Lavoro, impiegando direttamente tre educatori ed una assistente Sociale, ha accolto 14 giovani cittadini con disabilità.
Per due di questi, (Alessio e Andrea), si è palesata la possibilità di trasformare “L’allenamento in Palestra” in un lavoro vero e proprio. Grazie alle caratteristiche personali (competenze, attenzione, passione) e a seguito di un affiancamento educativo e supportivo particolarmente efficace (UMA, NIL, Coop Serena), i due (dopo un periodo di tirocinio) saranno assunti da Sercop, andando ad occupare posizioni realmente vacanti con funzioni di reception, info point e accoglienza nella sede dell’Azienda Consortile.
(*) Uma: equipe multiprofessionale come strumento in grado di svolgere una funzione di progettazione e orientamento a favore delle famiglie e di garantire la definizione e l’accompagnamento nel progetto di vita in relazione ai bisogni espressi e ai servizi esistenti, in un’ottica di integrazione territoriale
(*) Party senza barriere è un progetto per il tempo libero delle persone con disabilità. Consiste in un calendario di uscite e attività per divertirsi: ascoltare musica (concerti, pomeriggi musicali, musical), assistere a incontri sportivi (calcio, pallavolo, basket…), partecipare a eventi e iniziative territoriali, fare gite fuori porta (città d’arte, musei, mostre, parchi…)
Dott.ssa Simona Anelli
Responsabile Area Disabili Ser. Co. P. Azienda Speciale Consortile Rhodense per i servizi alla Persona